il bifrontismo in Tasso e più specificatamente nella Gerusalemme Liberata è il suo continuare ad oscillare come in un'altalena tra amore puro e amore sensuale, tra moralismo ed edonismo. Nell'episodio di Rinaldo e Clorinda nel giardino incantato si vede molto questo amore sensuale che Tasso cerca di censurare in parte per la sua continua tensione religiosa. Oppure in generale per tutta l'opera ( ma lo dice egli stesso nel proemio) egli vuole unire la possibilità di istruire il suo pubblico parlando di gesta della cristianità ma allo stesso tempo vuole unirvi quello che lui chiama il "meraviglioso" ossia la poesia per rendere più piacevole il tema trattato, in modo tale da attirare anche i più ritrosi.
Il bifrontismo di Tasso riguarda anche la sua vita egli infatti oscilla continuamente tra la corte (luogo ottimale dove presentare le sue opere, ma dove non si sente del tutto apprezzato) e l'accademia; o ancora l'oscillare tra una maggiore fedeltà ad Aristotele o a Platone.
La visione della realtà e il "bifrontismo" tassesco
Con il suo poema, carico d’intenti pedagogici, edificanti e morali, Tasso si presenta come il perfetto poeta cristiano. Vuol essere il celebratore della maestà della vera religione e delle istituzioni della Chiesa che n’è depositaria, del potere regale assoluto che riceve la sua investitura direttamente da Dio. Questa celebrazione da vita ad una serie di scenografie fastose e magnifiche, permeate da uno spiccato senso coreografico dello spettacolo e del decoro, che è proprio del gusto dell’età controriformistica e che investe sia la sfera della politica e del principe sia quella della religione. Un’analoga scenografica maestosità presentano certe cerimonie liturgiche.
Entro le coordinate della civiltà di corte del tempo si iscrive parimenti il gusto della tecnica e della regola, che domina molte pagine del poema, come ha persuasivamente indicato Getto: la tecnica del governo e della ragion di Stato, i numerosi duelli descritti sulla base di un’attenta conoscenza delle leggi della cavalleria e della scherma, le battaglie rappresentate con la precisione dei trattati di tattica e di strategia negli schieramenti, nei movimenti, nell’uso delle macchine belliche, i discorsi costruiti sull’ossequio più scrupoloso delle norme della retorica.
Vi è insomma nel Tasso una volontà conformistica, di totale adeguazione ai codici dominanti nella sua epoca. E questo non solo a livello dei contenuti affrontati, a anche a quello delle forme: Tasso con la Gerusalemme vuol dare non solo il perfetto poema cristiano secondo i canoni controriformistica, ma anche il perfetto poema epico in obbedienza all’autorità di Aristotele e alle leggi della sua Poetica. Il progetto del poema è un insieme coerente, in cui ogni livello deve corrispondere esattamente a tutti gli altri. Ma la realtà effettiva è qualcosa di ben diverso e di infinitamente più complesso. Si manifesta in primo luogo un’ambivalenza nei confronti della corte, che del discorso poetico della Gerusalemme è il riferimento ideale e il privilegiato ambiente di risonanza. Da una lato Tasso è attratto dalla corte come sede del potere regale, come luogo di magnificenza e di fasto, di pompa e di lusso, il solo che consenta il raggiungimento delle gloria, dove solo può nascere e brillare l’eccellenza poetica; dall’altro lato però prova un’incontenibile insofferenza per tutto quanto in essa vi è di rigido e artificioso, il peso dell’autorità, il rispetto delle gerarchie, i rituali dell’etichetta, gli intrighi, le invidie e i sordi rancori, e si rifugia nel segno idillico di un mondo pastorale remoto dalla storia e conforme solo a natura, libero, semplice e autentico. È il sogno affidato alla favola pastorale dell’Aminta, che ritorna anche all’interno di un’opera appartenente ad un genere così diverso come la Gerusalemme.
In secondo luogo all’intento di costruire un’opera tutta ispirata ad un rigoroso didascalismo moraleggiante, che esalti il sacrificio eroico dei guerrieri tesi al loro santo fine, si contrappone l’attrazione per il voluttuoso, per un amore svincolato da ogni legge morale, ispirato solo ad una ricerca del piacere dei sensi. In altri casi invece l’amore si presenta come sofferenza; è il caso degli amori impossibili e infelici che sono la regola del poema. La sofferenza d’amore è raffigurata coi toni di un morbido patetismo, percorso dalla voluttà delle lacrime e reso dal poeta con musicale abbandono. In entrambi i casi ne nasce una poesia lontanissima da ogni ispirazione eroica e moraleggiante, una poesia fortemente soggettiva ed autobiografica, che vede la forte immedesimazione emotiva del poeta nei suoi personaggi.
La stessa ambivalenza investe il grande tema della guerra, che occupa tanta parte del poema: all’esaltazione della guerra come manifestazione di eroismo e di forza si contrappone una considerazione più grave e dolorosa, che vede nella lotta e nella strage una necessità inevitabile, ma anche qualcosa di atroce e disumano, che genera sofferenza e lutto.
Contraddizioni analoghe si manifestano sull’altro versante fondamentale del poema, quello religioso. Alla celebrazione scenografica della maestà della religione si contrappone una religiosità meno esplicita e più intima, autentica e sofferta, che si manifesta nell’avvertimento della precarietà dell’esistenza e della vanità delle belle apparenze, nel senso della colpa e del peccato, nel bisogno di purificazione interiore. Alla religione fondata su verità razionalmente definite dalla teologia e su riti consacrati si contrappone poi un’attrazione per un sovrannaturale magico e demoniaco, tenebroso e arcano, irrazionale e inquietante, come si coglie nei numerosi episodi in cui intervengono le potenze infernali, di regola in lugubri scenari notturni.
Queste ambivalenze di fondo si manifestano anche a livello formale, e vengono ad incrinare lo stesso modello dle perfetto poema epico conforme alle regole aristoteliche. La sublimità epica è co
Answers & Comments
Verified answer
il bifrontismo in Tasso e più specificatamente nella Gerusalemme Liberata è il suo continuare ad oscillare come in un'altalena tra amore puro e amore sensuale, tra moralismo ed edonismo. Nell'episodio di Rinaldo e Clorinda nel giardino incantato si vede molto questo amore sensuale che Tasso cerca di censurare in parte per la sua continua tensione religiosa. Oppure in generale per tutta l'opera ( ma lo dice egli stesso nel proemio) egli vuole unire la possibilità di istruire il suo pubblico parlando di gesta della cristianità ma allo stesso tempo vuole unirvi quello che lui chiama il "meraviglioso" ossia la poesia per rendere più piacevole il tema trattato, in modo tale da attirare anche i più ritrosi.
Il bifrontismo di Tasso riguarda anche la sua vita egli infatti oscilla continuamente tra la corte (luogo ottimale dove presentare le sue opere, ma dove non si sente del tutto apprezzato) e l'accademia; o ancora l'oscillare tra una maggiore fedeltà ad Aristotele o a Platone.
La visione della realtà e il "bifrontismo" tassesco
Con il suo poema, carico d’intenti pedagogici, edificanti e morali, Tasso si presenta come il perfetto poeta cristiano. Vuol essere il celebratore della maestà della vera religione e delle istituzioni della Chiesa che n’è depositaria, del potere regale assoluto che riceve la sua investitura direttamente da Dio. Questa celebrazione da vita ad una serie di scenografie fastose e magnifiche, permeate da uno spiccato senso coreografico dello spettacolo e del decoro, che è proprio del gusto dell’età controriformistica e che investe sia la sfera della politica e del principe sia quella della religione. Un’analoga scenografica maestosità presentano certe cerimonie liturgiche.
Entro le coordinate della civiltà di corte del tempo si iscrive parimenti il gusto della tecnica e della regola, che domina molte pagine del poema, come ha persuasivamente indicato Getto: la tecnica del governo e della ragion di Stato, i numerosi duelli descritti sulla base di un’attenta conoscenza delle leggi della cavalleria e della scherma, le battaglie rappresentate con la precisione dei trattati di tattica e di strategia negli schieramenti, nei movimenti, nell’uso delle macchine belliche, i discorsi costruiti sull’ossequio più scrupoloso delle norme della retorica.
Vi è insomma nel Tasso una volontà conformistica, di totale adeguazione ai codici dominanti nella sua epoca. E questo non solo a livello dei contenuti affrontati, a anche a quello delle forme: Tasso con la Gerusalemme vuol dare non solo il perfetto poema cristiano secondo i canoni controriformistica, ma anche il perfetto poema epico in obbedienza all’autorità di Aristotele e alle leggi della sua Poetica. Il progetto del poema è un insieme coerente, in cui ogni livello deve corrispondere esattamente a tutti gli altri. Ma la realtà effettiva è qualcosa di ben diverso e di infinitamente più complesso. Si manifesta in primo luogo un’ambivalenza nei confronti della corte, che del discorso poetico della Gerusalemme è il riferimento ideale e il privilegiato ambiente di risonanza. Da una lato Tasso è attratto dalla corte come sede del potere regale, come luogo di magnificenza e di fasto, di pompa e di lusso, il solo che consenta il raggiungimento delle gloria, dove solo può nascere e brillare l’eccellenza poetica; dall’altro lato però prova un’incontenibile insofferenza per tutto quanto in essa vi è di rigido e artificioso, il peso dell’autorità, il rispetto delle gerarchie, i rituali dell’etichetta, gli intrighi, le invidie e i sordi rancori, e si rifugia nel segno idillico di un mondo pastorale remoto dalla storia e conforme solo a natura, libero, semplice e autentico. È il sogno affidato alla favola pastorale dell’Aminta, che ritorna anche all’interno di un’opera appartenente ad un genere così diverso come la Gerusalemme.
In secondo luogo all’intento di costruire un’opera tutta ispirata ad un rigoroso didascalismo moraleggiante, che esalti il sacrificio eroico dei guerrieri tesi al loro santo fine, si contrappone l’attrazione per il voluttuoso, per un amore svincolato da ogni legge morale, ispirato solo ad una ricerca del piacere dei sensi. In altri casi invece l’amore si presenta come sofferenza; è il caso degli amori impossibili e infelici che sono la regola del poema. La sofferenza d’amore è raffigurata coi toni di un morbido patetismo, percorso dalla voluttà delle lacrime e reso dal poeta con musicale abbandono. In entrambi i casi ne nasce una poesia lontanissima da ogni ispirazione eroica e moraleggiante, una poesia fortemente soggettiva ed autobiografica, che vede la forte immedesimazione emotiva del poeta nei suoi personaggi.
La stessa ambivalenza investe il grande tema della guerra, che occupa tanta parte del poema: all’esaltazione della guerra come manifestazione di eroismo e di forza si contrappone una considerazione più grave e dolorosa, che vede nella lotta e nella strage una necessità inevitabile, ma anche qualcosa di atroce e disumano, che genera sofferenza e lutto.
Contraddizioni analoghe si manifestano sull’altro versante fondamentale del poema, quello religioso. Alla celebrazione scenografica della maestà della religione si contrappone una religiosità meno esplicita e più intima, autentica e sofferta, che si manifesta nell’avvertimento della precarietà dell’esistenza e della vanità delle belle apparenze, nel senso della colpa e del peccato, nel bisogno di purificazione interiore. Alla religione fondata su verità razionalmente definite dalla teologia e su riti consacrati si contrappone poi un’attrazione per un sovrannaturale magico e demoniaco, tenebroso e arcano, irrazionale e inquietante, come si coglie nei numerosi episodi in cui intervengono le potenze infernali, di regola in lugubri scenari notturni.
Queste ambivalenze di fondo si manifestano anche a livello formale, e vengono ad incrinare lo stesso modello dle perfetto poema epico conforme alle regole aristoteliche. La sublimità epica è co